Esistono momenti in cui si è inspiegabilmente molto felici di vivere e di stare al mondo. Ma si tratta appunto di momenti, di solito molto brevi e causati da eventi che raramente dipendono dalle nostre scelte. Si verificano in modo irregolare e saltuario e ne godiamo in solitudine: non possiamo replicarli, non possiamo condividerli, non riusciamo nemmeno a descriverli. La riflessione di Paolo Fabbri, anziché prendere le mosse dalla descrizione della felicità, la quale per definizione dovrebbe essere la stabile e completa conquista della ricerca di un uomo sino a pervaderne l’intera vita, è invece dedicata alla gioia, la quale è associata con quanto di effimero caratterizza i piaceri della carne: i fremiti, i palpiti, i sussulti, ecc. Questi sono i momenti in cui la separazione tra soggetto e oggetto svanisce momentaneamente dando luogo a un’“immersione senza esteriorità” negli elementi di un soggetto a sua volta “elementare”. In questi momenti cade ogni interpretazione strumentale del rapporto tra soggetto e oggetto cosicché, per esempio, il nutrirsi diviene un atto voluttuario di definizione del soggetto che perde la connotazione data dalla necessità biologica della sopravvivenza per abbandonarsi al piacere di riconoscersi in ciò che si sta mangiando. Il cibo, in questo caso, non è utilizzato, ma consumato, così come si ha consumo e dispendio - dépense - in tutti gli atti “inutili” che caratterizzano la nostra vita, primo fra tutti il gioco. Dunque, il rapporto che si instaura tra soggetto e oggetto nel consumo (rapporto che si da anche nell’acquisto) è altro rispetto a quello che si da nel consumismo, attività eterocostretta, ben lontana da ogni forma di gioia. Allo stesso tempo occorre però diffidare di ogni politica ascetica, volta a “chiudere” nella razionalizzazione di ogni sensibile il piacere elementare della gioia.
Paolo Fabbri à professore di Semiotica delle arti e Letteratura artistica presso la Facoltà di Design e arti dell'Università IUAV di Venezia. Ha sviluppato la sua riflessione sulle teorie del linguaggio e sulle pratiche comunicative, interrogandone criticamente i fondamentali modelli epistemologici e filosofici. La sua attenzione al dibattito teorico si accompagna a un'acuta sensibilità di analisi delle forme di comunicazione tipiche della società contemporanea. Tra le sue opere: La svolta semiotica (Roma-Bari 1998); Elogio di Babele (Roma 2000); Segni del tempo. Un lessico politicamente scorretto (Roma 2004).
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