Negli ultimi decenni, ha sottolineato Stefano Rodotà, si è imposta nel dibattito mondiale l'attenzione per la nozione di "umanità". Le motivazioni di questo interesse vanno ricercate, da un lato, nell'affievolirsi dei confini fra umano e animale e fra umano e postumano, a cui sembrano condurre alcuni sviluppi della scienza e della tecnica, dall'altro, nell'accrescersi di espressioni di inumanità, come hanno dimostrato esperienze storiche quali la Shoah. Di fronte a queste vicende, sono nate a livello giuridico nozioni come "patrimonio comune dell'umanità", "crimini contro l'umanità", o ultimamente l'espressione controversa "guerra umanitaria". Su questa linea si è inserita anche la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, la quale ha affermato che "la dignità umana è inviolabile", per indicare come gli Stati non debbano intervenire sulle persone in ragione delle loro caratteristiche genetiche e il genoma dei singoli o di popolazioni non possa essere ridotto alla logica del mercato.
Se l'umanità diviene in questo modo la misura invalicabile dalla prepotenza delle sovranità nazionali, dalla rapacità economica e dalle pretese autoritarie di modificare l'uomo o di mortificarlo, Rodotà ha posto però l'accento sulla questione cruciale di chi abbia o meno il diritto e il dovere di parlare a suo nome. Questo è il problema che emerge quando ad esempio si parla di "ingerenza umanitaria", del dovere cioè di intervenire in ogni momento e in ogni situazione in cui vi sia un'umanità sofferente, che si presenta come un veicolo potenzialmente positivo, ma che talvolta è stato usato anche a scopi di aggressione.
La questione si pone anche a livello dei singoli, dal momento che ognuno ha dei diritti che gli appartengono in quanto essere umano, indipendentemente dalla cittadinanza, e che si pongono come un argine alla prepotenza pubblica o privata. Il riconoscimento di questi diritti anima le questioni che riguardano la libertà di ciascuno di cosa fare del proprio corpo e della propria vita, piuttosto che quelle legate alla manipolazione degli embrioni e alla genetica. È in riferimento a queste problematiche che Stefano Rodotà ha evidenziato come l'umanità sia stata "troppo spesso" ridotta al biologico, richiamandosi ad un'idea di natura difficile da definire e che deve anzi essere considerata come risultato di una costruzione culturale.
Stefano Rodotà (1933 - 2017), già Presidente dell’Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, è stato professore emerito di Diritto civile presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Ha studiato l’irruzione della tecnologia nella vita democratica, sottolineando la complessità del rapporto tra sfera privata e sfera pubblica: in particolare per quanto riguarda la bioetica, la privacy, l’accesso all’informazione e la responsabilità della scienza. Tra i suoi libri recenti: La vita e le regole. Tra diritto e non diritto (Milano 2006); Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile (Napoli 2007); Perché laico (Roma-Bari 2009); Diritti e libertà nella storia d’Italia. Conquiste e conflitti, 1861-2011 (Roma 2011); Elogio del moralismo (Roma-Bari 2011); Il diritto di avere diritti (Roma-Bari 2012); Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni (Bologna 2013); La rivoluzione della dignità (Napoli 2013); Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli (Roma-Bari 2014); Solidarietà. Un’utopia necessaria (Roma-Bari 2014).
Ultimo aggiornamento profilo: 2015
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