Grazie ai documenti dell'Archivio, ancora oggi è possibile seguire il destino del reo dopo che la Giustizia, concluso il suo corso, aveva emanato la sentenza. Il carattere pubblico, rituale e ricco di richiami simbolici, che caratterizzava le esecuzioni capitali, le mutilazioni, le torture, le esposizioni infamanti, era strumento di propaganda politica e banco di prova del consenso. Il popolo vi partecipava in folla, rivestendo oltre al ruolo di spettatore quello di attore. Il lungo e contrastato percorso dalla vendetta privata al monopolio pubblico della violenza mirava alla pace e alla concordia fra i cittadini. In quel meccanismo di ricomposizione del danno anche il colpevole veniva perdonato se, pentito, accettava la morte cristiana alla quale lo accompagnava la Confraternita dei confortatori. Protagonista essenziale del rituale era il “Mastro di Giustizia”, il boia, che, nonostante fosse ufficiale salariato del governo e inquilino di Palazzo comunale, era costretto dalla sua ‘inquinante’ impurità a vivere nell’emarginazione.

Alla mostra è collegata l’iniziativa Cronache di ordinaria giustizia. Testimonianze tra Quattro e Seicento